L’attivismo tra filosofia e pratica: Maritain, Makarenko,G.Gentile, Lombardo-Radice.

J.Maritain
La concezione della persona in J.Maritain si fonda nel pensiero religioso. Nell'insieme poi della filosofia maritainiana la nozione di persona viene varie volte ripresa. I tratti essenziali:
a) la persona è una fonte di unità dinamica e di unificazione dall'interno;
b) la persona rende capace l'uomo di esercitare la sua esistenza e di perfezionarsi liberamente dandosi liberamente;
c) la persona testimonia in noi la generosità o espansività dell'essere propria dello spirito, con delle modalità che sono proprie ad uno spirito nella condizione incarnata.
La filosofia della persona va poi considerata inserita all'interno di una filosofia dell'essere. Al di là delle sin troppo facili dialettizzazioni tra "essere" e "persona" a cui certi personalismi od esistenzialismi vorrebbero abituarci, la filosofia di J.Maritain è, come dice 0. Lacombe, "la filosofia dell'essere (che), compiendosi in teoria realista della conoscenza, fonda la vera filosofia del soggetto", perché "il soggetto quando eccede alla conoscenza e alla libertà, quando investe la dignità della "persona", non si tiene al di là o accanto all'essere, ma ne compie la più alta promozione".
Per Maritain in realtà alla persona "occorre esistere di una maniera eminente (...) e sovraesistere in conoscenza e amore": "ecco perché - aggiunge - la tradizione metafisica dell'Occidente definisce la persona con l'indipendenza". Pur con sfumature "antimoderne", la consapevolezza dell'autenticità di questa tradizione ha permesso a Maritain un accostamento al problema della moralità proprio attraverso la via privilegiata di una filosofia della libertà.
Rivolgiamoci quindi alla trattazione della dottrina maritainiana della natura nella persona. È anzitutto necessario affermare che per Jacques Maritain "la parola "natura", passando la soglia dello spirituale, acquista un senso differente (...) che in realtà non ha più che una comunità di analogia con la natura". Orbene, secondo il nostro autore, su questo tipo di natura, su questo "universo" "mette radici il mondo della libertà di scelta che è allo stesso tempo il mondo della moralità": in questo preciso momento appaiono anche "la personalità e tutti privilegi della personalità." Verifichiamo così che la dignità della persona implica la sua libertà, senza però che questo significhi necessariamente l'abbandono delle esigenze ontologiche della natura spirituale. Maritain rileva pure che "ancor prima dell'esercizio della libertà di scelta, e affinché quest'ultima sia possibile, la necessità più assoluta della persona è quella di comunicare con l'altro tramite l'unione di intelligenza, e con gli altri per mezzo dell'unione affettiva".
Tutte le visioni filosofiche che concepiscono l’uomo come “ persona”, cioè come “valore”, cioè come  essere dotato di spiritualità  e libertà, in contrapposizione  alle visioni dell’uomo in prospettiva  materialista e meccanicista dell’uomo inteso  come una macchina molto complessa ma pure sempre una macchina. In  questo senso il Personalismo abbraccia tutta la visione cristiana ma non solo essa: si estende, infatti, anche ad fuori del cristianesimo stesso per allargarsi a tutte quelle concezioni filosofiche che riconoscono il “valore” dell’uomo. La Costituzione Italiana, ad esempio, ha un tipico impianto personalistico ponendo lo Stato al servizio della persona, riconoscendone i diritti alla libertà, alla dignità, alla cultura, all’armonico sviluppo delle facoltà: parimenti ispirate al Personalismo sono tutti quei movimenti che promuovono i cosi detti “diritti umani“come  patrimonio irrinunciabile di tutti gli  uomini al di la di ogni confine politico, religioso e culturale.   Di fronte all’idea che l’uomo sia un mero e semplice prodotto della natura ( positivismo) o della storia ( marxismo ) o di pulsioni inconsce (psicoanalisi) il Personalismo rivendica quindi le caratteristiche della persona che possono essere cosi riassunte in pochi punti fondanti:
  • Coscienza di sé (conscius sui): l’uomo ha coscienza del proprio essere, del proprio pensiero, della propria azione: non può esser considerato come una marionetta mosse da forze a lui sconosciute
  • Coscienza del suo tempo ( conscius temporis sui): l’uomo è sempre immerso con piena coscienza nel suo momento storico, nella società alla quale appartiene, nella cultura in cui vive: non può essere considerato in modo astratto come un essere avulso dal suo mondo: gli animali  vivono in un mondo astorico, l’uomo è sempre parte della storia.
  • Padronanza  di se ( compos sui): l’uomo può compiere o meno certe azioni: se le compie in ogni caso assume  delle responsabilità che non può scaricare sugli altri o sulla natura
  • Capacità di autoformarzione ( auctor sui): l’uomo diventa quello che ha scelto di diventare. Anche se ha delle inclinazioni naturali, anche se gli altri gli  possono indicare questa  o quella strada, l’uomo comunque sceglie  liberamente il suo cammino. Si diventa santi o delinquenti non per nascita o per ambiente ma perché si sceglie  consapevolmente una strada
  • Capacità di donarsi (largitor sui): l’uomo può donare se stesso , aprendosi  agli altri. La socialità non consiste, infatti, semplicemente nell’andare “d’accordo “ con gli altri anzi: molto spesso si hanno buon i rapporti con tutti perché si è acquiescente anche al male e all’errore. Vera socialità invece è donare la propria opera agli altri opponendosi al male: non per niente i santi quasi sempre sono stati dei perseguitati.  
  • Adorazione di Dio ( adorator dei) sommo momento della persona è il riconoscimento del proprio creatore e delle sue leggi e quindi il senso della fede e della speranza in Lui.
  In questo senso il Personalismo può considerarsi lo spirito vitale e vivificante della nostra civiltà che per sua stessa natura tende a privilegiare i momenti economici e materiali lasciando in ombra i veri valori della persona umana.
 Alla base del personalismo filosofico si determina anche il pensiero pedagogico italiano sulle due sottolinea teorie di Mourier e di Maritain; “la pedagogia del personalismo afferma il primato della persona e il suo diritto alla piena educazione, testimoniando una tensione etica, che si esprimeva in maniera differenziata secondo le antropologie, con le quali gli orientamenti, le scuole e i singoli pedagogisti si confrontavano, e la volontà di ridefinire l’educazione, rivolgendo l’attenzione alla ricostruzione della scuola in prospettiva democratica” .
Makarenko 

A.S. Makarenko risolve la dialettica di individuo e società con l’assorbimento del primo nella seconda, così da richiedere, se necessario, il sacrificio dei fini individuali in nome dei superiori scopi sociali.Posizione a dir poco preoccupante, per le conseguenze politiche e pedagogiche che essa comporta. Si vedano tra le altre: la pedagogia della lotta, che è lotta di classe e per la classe, ma non anche lotta di idee; la pedagogia delle prospettive, che avanza un’istanza positiva nel momento in cui pone obiettivi meta-individuali, ma che si arresta all’orizzonte della società esistente; la pedagogia del collettivo, che fa valere essa stessa un’esigenza positiva di superamento dell’egocentrismo individuale e di  iccolo
gruppo, ma che chiude l’individuo entro la sfera dello stato. Makarenko pare intuire in qualche momento la presenza di un livello etico superiore allorché introduce i «valori» della
disciplina, del coraggio, dell’ onore, del dovere. Ma, come rileva Kaminski, restano essi stessi valori sociali; valori della classe e per la classe.
Nelle sue opere, Makarenko non ha lasciato una teoria organica della virtù. Anzi, egli non ha nemmeno prospettato agli educatori la virtù principale, intorno a cui si dovrebbe concentrare l’ideale educativo della società comunista. Com’è noto, l’antico mondo greco ha esaltato e venerato soprattutto le virtù della
temperanza, del coraggio e della saggezza ed ha considerato la giustizia come la virtù principale. Il mondo cristiano pose a capo delle virtù la triade: «fede, speranza e carità», e con ciò la fede è considerata come la virtù principale del cristianesimo. Makarenko non ha tracciato una gerarchia delle virtù, né ha sistemato quelle che egli stesso ha propagate. Assai spesso, però, e col maggiore slancio di
sentimento, egli ha parlato del
dovere, dell’onore, della disciplina e del coraggio. Tutte le volte che egli ha scritto il nome di ciascuna di queste virtù, a talune delle quali ha dedicato speciali articoli, il lettore sente sempre che egli le considera come i «valori» nel loro grado più alto. E qui, per l’appunto, noi ci avviciniamo ad un quesito molto delicato della pedagogia marxista. Che cosa è la moralità? Che cosa sono quelle quattro virtù di Makarenko? Nel sistema delle «linee prospettiche», esse sono valori legati alla classe sociale dominante, oppure costituiscono dei valori ulteriori, più vasti, al di sopra delle classi e dei popoli, dei valori, in certo modo, della terza dimensione (metabiologici e metasociali)? ... Negli scritti di Makarenko non incontriamo riflessioni né meditazioni sui temi della filosofia materialistica. Non si scorge in lui l’inclinazione ad interpretare i classici marxisti. Egli non si occupa della teoria della moralità, non indaga la sua essenza.
Il suo rapporto coi valori morali, con le virtù dell’onore, della disciplina, del dovere, del coraggio ha in sé qualche cosa che sembra indicarci come egli attribuisca a queste virtù un valore superiore, oltre le classi e oltre i popoli. E difatti, al servizio di queste virtù, egli si oppose agli alti funzionari sovietici, non esitò ad esporsi alla perdita del posto di lavoro tanto diletto ed amato, pur di evitare di trovarsi in contraddizione con se stesso.
Quando egli ha caratterizzato i limiti del suo sistema delle linee di prospettiva, ha detto che questi limiti corrono «dalla prima contentezza per un’inezia, fino al senso più profondo del dovere compiuto». Il più alto valore, dunque, è il più puro valore morale. Ma qui accanto si vede anche un’altra concezione dei limiti della prospettiva: «Si può cominciare da un buon pranzo... ma bisogna assolutamente andare avanti e dilatare gradualmente le prospettive di tutta la collettività, fino al loro collegamento completo con quelle di tutta l’Unione Sovietica». Per il resto, la vita di Makarenko dimostra che il senso dell’educazione è, per lui, l’educazione
politica, e che il fine principale politico è il bene e la potenza dell’Unione Sovietica». Il sistema educativo di Makarenko, pur tanto largo di esperienza umana e ricco di preziosi suggerimenti pratici, non dà all’azione del collettivo sufficiente apertura pedagogica così che esso possa socializzare la personalità giovanile evitandone la standardizzazione e la funzionalizzazione in un processo che rischia di strumentalizzarla, alienandone le potenzialità in strutture che la sommergono.
Il sistema di Makarenko accentua, e legittimamente, il momento della collettività, ma non garantisce pienezza di sviluppo all’individualità; può rispondere utilmente ad una fase della rivoluzione comunista di cui assorbe particolari esigenze, ma non può proporsi come solida e sicura base per una pedagogia che voglia essere sociale senza pericolose deformazioni. Entro quale orizzonte può esercitarsi lo
spirito critico del giovane? Non rimane egli chiuso entro la sfera di un’esperienza umana, l’economico-politica, solo unilateralmente eccitatrice di energia e consapevolezza? La vita collettiva in cui egli si forma e che lo impregna di sé lo porta ad aderire a strutture ben definite sul piano intellettuale, etico e affettivo, ma non sa reagire ad esse qualora si irrigidiscano e si anchilosino rendendo dogma l’ipotesi scientifica, comandamento l’esigenza etica,
imposizione lo slancio affettivo. Come evitare la minaccia del
conformismo propria di un’educazione siffatta in cui è pianificata la vita della colonia secondo un sistema talmente rigido e preciso da apparire militaresco? E il conformista, si sa, non è liberato dal proprio egocentrismo, non è problematizzato cioè nella componente soggettiva della propria personalità, non è socializzato anche se sembra cittadino coscienzioso e solerte; è soltanto
indebolito o distrutto nella potenzialità di un contributo alla società che sia vitale, ricco di iniziativa intellettuale, di energia pratica, di calore umano.
E del resto, nel considerare attentamente le pagine di Makarenko, appare evidente che il motivo dell’antinomia etica («realizza te stesso realizzando gli altri») mantiene la propria problematicità malgrado lo voglia negare l’impostazione collettivistica.
È facile riscontrare, infatti, nelle asserzioni di Makarenko stesso il permanere del problema. Se la felicità in quanto esigenza individuale potesse senz’altro identificarsi con la felicità in quanto esigenza collettiva, poiché l’impedimento di quest’ultima è provocato dalle disuguaglianze sociali e queste sono eliminate dal trionfo della rivoluzione, non dovrebbe aver senso né l’affermare che la società ha il dovere di dare la felicità  all’individuo né che l’individuo ha il dovere di essere felice, rendendosi la felicità ainsieme diritto e dovere. L’uomo comunista non può che chiedere la felicità sociale, ma egli tale felicità l’ha già, se vive nel mondo socialista. Il reclamare una porzione
privata e speciale di felicità è un ricadere nella prospettiva borghese che distingue uomo pubblico e uomo privato. Il ripresentarsi di tale distinzione in Makarenko è perciò una riprova del fatto che individuo e collettività impongono alla vita etica istanze potenzialmente antinomiche, istanze che impegnano per una loro parziale e sempre inadeguata integrazione su piani differenti e discontinui, condizionati sempre dalla scelta e dal sacrificio e non risolvibili astrattamente da nessuna progettata pianificazione della vita individuale e collettiva. Nessuna pianificazione può sottrarre l’uomo al suo destino e all’antinomia in cui esso gli si impone: nessuna pianificazione può identificare, nella vita intellettuale, pratica e  affettiva, individuo e collettività.


Giovanni Gentile 
Giovanni Gentile nacque a Castelvetrano il 30 maggio 1875 e compì gli studi universitari alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove venne a contatto con la filosofia dell'idealismo.
Passato all'università di Pisa e poi a quella di Roma, Gentile cominciò ad elaborare il principio dell'"atto puro" e a pubblicare una serie di opere teoriche in cui esponeva la propria filosofia.
All'avvento del fascismo, Gentile entrò nel governo come Ministro della Pubblica Istruzione (1922-24), realizzando quell'ampia riforma della scuola che porta il suo nome. Nel frattempo, le divergenze con Croce si fecero sempre più forti e, nel 1920, Gentile abbandonò la direzione della rassegna filosofica "La Critica".
Nominato senatore nel 1922, Gentile lasciò il governo dopo il delitto Matteotti .
Gentile, che aveva confermato la sua adesione al fascismo anche dopo l'8 settembre 1943, fu ucciso da un gruppo di partigiani a Firenze il 15 aprile 1944. 

L'attualismo
L'attualismo è l'idealismo di Gentile che riduce tutta la realtà all'atto del pensiero pensante.
Secondo Gentile è necessario considerare il pensiero come attività piuttosto che come totalità o sostanza pensante ("res cogitans"). L'atto del pensare ha una funzione essenziale poiché è esso che garantisce l'unità tra pensiero e realtà e ha quindi una posizione primaria rispetto a ciascuno di essi.
Il punto di partenza della filosofia di Gentile è la critica alla dialettica hegeliana. Come per Hegel la dialettica si articola in tre momenti, quello della tesi, dell'antitesi e della sintesi, ma, a differenza di quest'ultima, la dialettica di Gentile riguarda il pensiero pensante, un momento del pensiero dove esiste, a differenza dello Spirito Assoluto di Hegel, la contraddizione tra essere e non-essere che fa sorgere il divenire.
Applicando questa definizione di dialettica Gentile giunge ad affermare che il divenire viene generato dall'atto del pensiero mentre pensa sia la realtà che il pensiero pensante.
L'atto del pensiero è un'attività senza fine dello spirito, perché non appena l'atto si realizza come pensiero pensante, questo si converte in fatto (pensiero pensato) e si oggettiva; come conseguenza viene espulso dall'Io che è attività.
La teoria gentiliana della conoscenza si risolve interamente nella metafisica attualistica; conoscere infatti significa per Gentile identificare (=rendere identico a sé), cioè ricondurre tutta la realtà all'atto del pensiero mentre pensa. Come conseguenza la scienza appare astratta e dogmatica, poiché concepisce la natura di cui è oggetto di studio come qualcosa di indipendente ed esterno al pensiero che ne viene limitato.
Dopo essere riuscito a risolvere nel pensiero ogni aspetto della realtà, Gentile dedica la sua attenzione all'arte, alla religione e alla filosofia.
L'arte, per Gentile, è frutto di una libera creazione del soggetto che non ha né vuole avere alcuna relazione con la realtà a cui mira l'uomo pratico. L'arte è presente solo all'interno del pensiero pensante, poiché rappresenta la vita, i sentimenti e l'animo dell'autore; se essa si realizza come oggetto perde la propria essenza e diventa pensato. Non è possibile inoltre una "storia dell'arte", poiché questa è interamente chiusa nell'individualità del soggetto.
La religione viene intesa come l'opposto dell'arte, perché si concentra interamente sull'oggetto, cancella il soggetto e spezza ogni legame tra i due rendendo l'oggetto inconoscibile e termine di un rapporto soltanto mistico. Il soggetto assume quindi una posizione di subordinazione rispetto all'oggetto (Dio) dal quale viene creato (etero-ctisi).
La filosofia costituisce il momento di sintesi tra soggettività (l'arte) e oggettività (religione e scienza) che si realizza nell'atto del pensiero. Essa rappresenta quindi il sapere assoluto, poiché il soggetto diventa consapevole che è lui e lui solo a porre l'oggetto.
Da questa definizione, segue che il pensiero è auto-ctisi, cioè creazione di se stesso.
La filosofia esprime inoltre la forma di massima autoconsapevolezza dello spirito e la sua storia è la ricostruzione dei momenti attraverso i quali il pensiero umano è divenuto cosciente di sé. 

La teoria dell'educazione
Per Gentile pedagogia e filosofia coincidono, poiché entrambe hanno la funzione di rendere l'uomo consapevole di essere unità tra pensiero e realtà nell'atto del pensare.
Il rapporto di educazione si presenta come un rapporto tra insegnante e allievo, ma la dualità dei due protagonisti si risolve in un'unica attività; nell'atto educativo infatti la mente dell'insegnante e quella dell'allievo divengono una mente sola: "la mente oggettiva che viene costruendo la verità". Sia l'insegnante che lo studente negano quindi la loro "soggettività naturale" innalzandosi a quell'unità superiore, che è unione con l'oggettività.
L'educazione presuppone la libertà, perché l'atto di pensare è un atto libero che mira alla libertà e intende formare un uomo libero e padrone di sé.
Queste opinioni di Gentile sono le premesse pedagogiche della riforma della scuola del 1923 di cui il filosofo, in quanto ministro dell'educazione, ne fu l'autore.
Considerando la filosofia di Gentile appare evidente che egli non riconosce valore formativo alla scienza, ma alla filosofia. Come conseguenza, nell'ambito culturale assume particolare importanza il liceo classico (come scuola destinata alle classi superiori della nazione) e in esso l'insegnamento della filosofia e della cultura storico- letteraria. Il sapere tecnico- scientifico, esaltato dal Positivismo, assume invece un ruolo secondario destinato alle classi inferiori.
Anche l'insegnamento della religione nella scuola elementare assume una funzione importante poiché aiuta i bambini a cogliere la dimensione dell'assoluto che sarà fornita nell'insegnamento successivo della filosofia.

L'eticità
Lo stato per Gentile è l'unificazione dei singoli soggetti i cui interessi profondi coincidono con la "missione" storica dello stato; non vi è quindi distinzione tra sfera pubblica e privata come nello stato liberale.
La democrazia non pone limiti allo Stato, in quanto esso viene fondato nell'interiorità dell'uomo e ha una base di consenso che deriva dall'identificazione tra individuo e Stato. Lo Stato non è più "tra gli uomini", ma "negli uomini", poiché essi, a differenza dello stato di Hegel, hanno una parte attiva nella sua istituzione.
Il massimo della libertà dell'individuo coincide con la massima forza dello stato, il quale deve sollecitare interiormente l'uomo a partecipare acconsentendo alle decisioni prese. Anche la forza materiale poteva essere usata per ottenere questo consenso!
Gentile riuscì così a dimostrare che il fascismo non operava una rottura con il passato, ma era la piena attuazione del vero liberalismo; per questo motivo la concezione di stato di Gentile si adattava perfettamente con quello fascista.

 
Lombardo Radice (1879-1938)
Uno dei collaboratori di G. Gentile fu il catanese Giuseppe Lombardo Radice, amico di G. Gentile, era un maestro che cercava attraverso le sperimentazioni didattiche di innovare in qualche modo i metodi scolastici.
Egli diventò Direttore delle Scuole Elementari d’Italia, carica di prestigio ed efficace in quanto poteva intervenire direttamente tramite la riforma Gentile sull’organizzazione della scuola elementare riuscendo a mitigare lo stile autoritario di G. Gentile.
Lombardo Radice, dopo il delitto Matteotti nel 1924, rinuncia all’incarico in quanto considerò inconciliabili le modalità politiche che il regime fascista stava sviluppando, con le sue elaborazioni pedagogiche e si ritira in Sicilia dove continua a sviluppare delle innovazioni didattiche tanto che Lombardo Radice oggi è considerato come  colui che ha introdotto in Italia i metodi attivi con la sua infaticabile passione.
Muore nel 1938 e non riesce a vedere la liberazione dell’Italia, la sua filosofia generale è considerata attraverso l’espressione della Scuola Serena a cui dette vita; è il tipo di scuola in cui veniva messa al bando la pedanteria, il fatto che i bambini non potevano muoversi dai banchi e dovevano accettare le nozioni che venivano loro proposte.
Lombardo Radice riesce a parlare a questi bambini, provenienti dalle classi popolari contadine, attiva la Scuola Serena, in cui non ci sono tensioni, non c’è selezione, ma formazione; secondo Lombardo Radice la scuola deve formare tutti, la pedagogia popolare significa proprio che l’educazione scolastica deve mirare all’apprendimento  di tutti indistintamente, per formare la personalità e introduce questi metodi che possono essere considerati attivi proprio perché studia  Dewey e quindi studia anche come Dewey negli USA stava cercando di strutturare le scuole nuove basate sulla democrazia come valore imprescindibile per la formazione della personalità umana.
La scuola serena è sfiducia nei metodi prefabbricati, è interesse aperto a tutte le esperienze, sì all’innovazione didattica, è senso concreto di ogni forma di istituzione educativa, pur nell’ambito della filosofia idealistica di stampo gentiliano.
La pedagogia del Lombardo Radice critico del fascismo, contiene una novità importante, la critica didattica, oggi può essere definita il bilancio critico dell’esperienza didattica come punto fondamentale dell’esperienza metodica, così come il metodo scientifico anche la didattica può essere definita scientifica se pur probabile come scienza non esatta, la critica didattica è quell’esercizio di bilancio critico dell’esperienza che è molto presente nel Lombardo Radice e che costituisce per l’Italia una grande innovazione.
La scuola serena intesa anche come scuola esperienza in particolare siciliana dove veniva fatta combaciare con la poesia quindi la creatività pura applicata al linguaggio e alla emozione dei sentimenti, le sollecitazioni dello stato educatore al confine tra uno stato che si occupa troppo diciamo delle iniziative individuali ma anche una sensibilità nei confronti dell’iscrizione gratuita per tutti, la scuola popolare, lo stato non deve abbandonare i suoi figli, lo stato deve dare a tutti la possibilità di essere educati tutti.
Cosa è rimasto valido oggi di Lombardo Radice?  Resta valido l’appello rivolto al maestro che sia serio nel suo compito, la sfiducia dei metodi prefabbricati, l’interesse aperto per tutte le tecniche, da una parte le critiche al formalismo didattico, alle mode, però dall’altra anche una sensibilità verso l’innovazione didattica; quella “poesia” che egli voleva nella scuola deve restare, anche se non proprio per le ragioni adottate dal Lombardo Radice, nei sentimenti, quella componente psicologica, quelle emozioni, quella relazione che si deve stabilire tra insegnante e i suoi allievi e ovvia con le abilità a una teoretica generale molto debole, labile; la filosofia di base è un limite serio che si riscontra nella ristretta applicabilità poi dei criteri concreti operativi del Lombardo Radice nella scuola della città, nella scuola metropolitana; Lombardo Radice ha presente la scuola di campagna a contatto con la natura circostante, i figli dei contadini. Egli raggiunge comunque dei risultati straordinari.
Lombardo Radice liberale, è la forma migliore dell’idealismo, l’anima più pratica e passionale: pedagogia è la consapevolezza dell’opera educatrice del sapere vissuto e svolto personalmente, è lo stesso impianto del Gentile, ma indirizzato nella pratica, è il maestro che deve identificarsi con questo principio.
 “Lezioni didattiche” del 1913 è l’opera più importante del Radice che gli ha dato una certa notorietà, in cui parla della collaborazione reciproca degli scolari, collaborazione di docenti (interdisciplinare), oggi proiettate nella pedagogia contemporanea è la consapevolezza dell’agire educativo ed è la pratica che accompagna l’atto stesso di educare: noi ci facciamo maestri, è l’esperienza di insegnare, è la pratica pedagogica educativa che diventa maestra nel momento in cui si incarna l’opera educativa  e del sapere che si ha alle spalle, insegnando a noi stessi  che sempre c’è chi valuta ciò che si sta insegnando.
La nostra cultura non è un corredo di nozioni, ma è indagine continua.

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