Il gioco

Nel corso del XIX e del XX sec. sono state proposte diverse teorie sul significato del gioco.
In linea di massima le ricerche sul gioco coincidono con un progressivo riconoscimento del valore del gioco e con la consapevolezza crescente che le attività ludiche hanno senso e dignità.
Le teorie sul gioco possono essere distinte in tre tipologie:
- teorie residuali,
- teorie dell’esercizio
- ludocentrismo di Huizinga.
A. Le teorie residuali
Secondo queste teorie i comportamenti ludici o sono il frutto di un affinamento evolutivo (Spencer) o rappresentano tracce, residui evolutivi, tipici del comportamento primordiale della specie umana (Hall).
Il filosofo positivista ed evoluzionista inglese, Herbert Spencer (1820-1903) ha espresso la teoria del surplus di energia. Con l’evoluzione gli esseri viventi affinano sempre più le abilità necessarie a sopravvivere nel proprio ambiente, cosicché quelli che si trovano ai livelli più alti della scala biologica finiscono per impiegare poche risorse nella lotta per la sopravvivenza e per avere un di più di energia da spendere. Gli esseri umani, situati al vertice del cammino evolutivo, hanno una considerevole carica di energia che sfogano in attività ludiche prive di senso. Chi ad esempio si è dedicato molto ad un lavoro intellettuale ha accumulato molta energia da incanalare in comportamenti motori (es. bambini che si scatenano dopo una mattinata di scuola).
Lo psicologo americano Stanley Hall, discepolo di Wundt, partendo dal principio derivato dall’embriologia che l’ontogenesi (storia evolutiva dell’individuo) ripeta in breve la filogenesi (storia evolutiva della specie), vede nei comportamenti ludici dei bambini il riapparire di attività che hanno caratterizzato l’umanità nelle fasi iniziali della sua storia evolutiva.
La tesi di Hall non regge perché il principio embriologico suesposto può essere applicato solo allo sviluppo biologico ma non a quello psicologico e sociale.
B. Le teorie dell’esercizio
Le teorie dell’esercizio costituiscono un passo avanti sulla strada di attribuire valore e dignità al gioco. Per queste teorie il gioco ha una sua funzionalità connessa alla vita: è un’occasione di esercizio in preparazione della vita reale e dei suoi compiti futuri. Già Kant e soprattutto il pedagogista tedesco Froebel (1782-1852) avevano espresso una teoria sulle funzionalità espressive e cognitive del gioco. Ma a dare impulso a questa concezione fu il filosofo e psicologo tedesco Karl Groos (1861-1946) il quale sostenne che le specie animali che sono più dipendenti da un flessibile adattamento all’ambiente piuttosto che dalla trasmissione d’informazioni genetiche, grazie al gioco, acquisiscono e affinano le abilità tipiche della loro vita adulta: si preparano alla difesa, alla caccia ecc.
Esempio del picchio delle Galapagos che estrae vermi dalle fessure delle cortecce d’albero sia quando ha fame, mangianddoli, sia quando è sazio, senza mangiarli.
Nel XX sec., sulla falsariga di Groos, si è compreso che il gioco è utile sia allo sviluppo emotivo, sia allo sviluppo cognitivo, sia allo sviluppo sociale.
Sviluppo emotivo (Freud, Winnicot). Per Freud il gioco assicura l’equilibrio emotivo del b. in due modi: 1)funzione catartica: consente di sublimare pulsioni non accettate dalla società trasferendole su oggetti alternativi (il bambino frustrato percuote un orsacchiotto senza che nessuno lo rimproveri per la sua aggressività); 2)funzione di controllo ansioso: nella finzione il b. può dominare mentalmente le cose che nella realtà lo spaventano e non
riesce a gestire (il b. che gioca al dentista per rappresentare e gestire mentalmente la paura di questo personaggio). Lo psicanalista Winnicot (1971) ritiene che il gioco sia un ausilio fondamentale per superare l’angoscia di separazione del b. dalla madre.
Egli ha introdotto in psicologia la nozione di oggetto transizionale (coperte, bambolotti e altre cose da cui i bambini ricavano un senso di sicurezza nelle fasi in cui gli attaccamenti
infantili evolvono verso il distacco).
Sviluppo cognitivo (Piaget, Bruner). Piaget ha messo in luce che il gioco ha una funzione fondamentale nello sviluppo dell’intelligenza tant’è vero che evolve di pari passo con le capacità intellettive del bambino. L’evoluzione del gioco esprime per Piaget due dinamiche: il passaggio dal concreto all’astratto
ed il passaggio dall’egocentrismo alla socialità. Cosi apprende fin da 2/3 mesi, nello stadio senso-motorio (corrispondente alla fase della rappresentazione attiva di Bruner:”Una cosa serve per quello che ci si fa”) il gioco funzionale o d’esercizio consistente nel manipolare il mondo circostante. Entrando nello stadio preoperatorio, già da due anni, è capace di fare un gioco simbolico o di finzione, in cui “fa finta di…”, cioè adopera oggetti simbolici al posto degli oggetti reali. Intorno a 7/8 anni, entrando cioè nello stadio operatorio concreto (corrispondente alla fase della rappresentazione iconica di Bruner) egli approda al gioco realistico o gioco di costruzione che costituisce il superamento del gioco simbolico e consiste nella capacità di riprodurre, in modo esatto, la realtà (riproduzione dell’interno di una casa o di un villaggio…). Infine, verso i 12 anni, corrispondente allo stadio operatorio formale (ed alla fase della rappresentazione verbale di Bruner) il bambino matura la capacità del gioco con regole che è un gioco tipicamente adulto: sono le regole, formalmente regolamentate, che si trasmettono di bambino in bambino e di generazione in generazione e presuppongono l’esistenza di ruoli e relazioni sociali stabiliti e la capacità di oggettivare delle norme in astratto, cioè di prescindere da situazioni e circostanze. Questo tipo di gioco ha carattere funzionale al rispetto delle norme sociali. Piaget è dell’idea che il gioco, al contrario del linguaggio che segue una dinamica accomodativa (il bambino si deve adeguare passivamente a codici già precostituiti dalla società) segua invece una dinamica assimilativa (la realtà viene assimilata liberamente e creativamente agli schemi che possiede, ritagliandosi così uno spazio creativo tutto suo). Ma le ricerche empiriche hanno successivamente smentito questo assunto. E’ emerso al contrario che nel gioco, il bambino, stimolato dalla realtà, tende a elaborare, sempre creativamente, organizzazioni mentali nuove, anziché ripetere le vecchi. Si tratta non di assimilazione ma di accomodamento alla realtà. Per Bruner il gioco è funzionale all’apprendimento perché, al riparo dall’assillo dei bisogni reali, consente al bambino la libera sperimentazione di comportamenti e soluzioni a problemi, facilitando l’inventiva e le correlazioni insolite (divergenza).
Sviluppo sociale. Le ricerche empiriche mostrano che i giochi di finzione, in particolare, e quelli con regole facilitano i rapporti sociali, non solo perché preparano ai ruoli da svolgere, ma anche perché rendono più flessibili e tolleranti nei riguardi degli altri. w In antropologia culturale il gioco infantile è stato in genere visto come momento in cui le nuove generazioni vengono socializzate ai valori, alle norme, ai modelli di vita della cultura di appartenenza (Geertz e il combattimento dei galli a Bali).
C. Il ludocentrismo di Huizinga Lo storico olandese, Johan Huizinga (1872-1945), ripreso poi dal francese Roger Caillois (1913-1978), nel suo libro Homo ludens, diviene il protagonista, già dalla prima metà del XX sec., di una rivoluzione copernicana nella concezione del gioco. Egli supera la teoria dell’esercizio, sottoponendola alle seguenti critiche. Le teorie dell’esercizio non attribuiscono al gioco un valore autonomo ma lo finalizzano a qualcos’altro ritenuto fondamentale per la vita (il lavoro, l’inserimento sociale ecc.).
Esse, (lo riconosce anche Erikson) disconoscendo il fondamentale carattere estetico-espressivo del gioco, sostengono che il gioco sia un lavoro inconsapevole mascherato da gioco (cfr. Piaget). Inoltre le teorie d’esercizio pongono troppa enfasi sul carattere positivo del gioco dimenticando che esiste anche il gioco cattivo (aggressività, distruttività, crudeltà, vizio, dissipatezza…).
Per Huizinga lo spirito ludico è un tratto fondamentale dell’uomo. Il gioco è importante come la sopravvivenza, la produzione, l’inserimento sociale ecc. Il gioco è al centro, all’origine, della civiltà:”la cultura nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco”. Quando gli uomini danno vita alla civiltà, in realtà giocano, perché solo nel gioco è possibile la creatività necessaria a quest’operazione. Dietro l’arte, la scienza, la religione, la filosofia, il diritto, troviamo lo spirito ludico. “La cultura è dapprima giocata…Nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di forme soprabiologiche che le conferiscono maggior valore”.
La storia è vista da H. come dialettica tra momenti creativi di gioco e momenti di cristallizzazione e stabilizzazione istituzionale. Basta perdere l’equilibrio tra spirito ludico e spirito serio, innovazione e tradizione, e si scivola nella barbarie.
Conclusione. Esistono anche teorie moderate che fanno da tramite tra teorie dell’esercizio e ludocentrismo.
Infatti ciascuna teoria suggerisce spunti interessanti e contiene frammenti di verità. Bisognerebbe rinunciare ad una teoria troppo generale e descrivere la funzionalità delle singole espressioni ludiche. “Il comportamento ludico-osserva Berlyne- comprende un assortimento talmente eterogeneo (dallo sport allo scherzo, dal gioco di esercizio a quello di regole…) che è altamente improbabile che possa avere nel suo complesso un’unica funzione”.
Caratteristiche fondamentali del gioco
1. L’improduttività (il gioco non risponde a criteri di utilità apparente ma è fine a se stesso: il bambino che tira fuori le pentole da un armadio per giocare).
2. La piacevolezza (giocare produce effetti emotivi positivi: gratificazione, soddisfazione,
divertimento; ha in se stesso un tornaconto emotivo: è auto remunerativo o intrinsecamente appagante (cfr. Aristotele).
3. La spontaneità (se si è costretti non è più un gioco e non diverte).
4. Lo stacco (il gioco comporta l’interruzione della routine quotidiana attraverso la cosiddetta comunicazione di gioco che consiste in un’affermazione o segnale che sta a significare”Questo è un gioco!”allo scopo di non essere fraintesi o presi sul serio: es. i cuccioli di cane flettono gli arti anteriori, abbaiano e agitano la coda).
5. La tranquillità (il gioco presuppone che non si abbia impegni di primaria importanza e ci si possa rilassare: ad esempio i bambini possono dedicarsi al gioco in quanto gli adulti provvedono al loro sostentamento, protezione ecc.).
6. La regolamentazione (tutti i giochi, in modo più o meno evidente, sono regolamentati:anche chi fa una piroetta libera non è totalmente libero ma deve tener conto, perché sia divertente, di principi meccanici e fisiologici). Libertà (perché ci sia divertimento, chi gioca deve avere ampia facoltà di manovra: ad es. al Monopoli, lo stesso giocatore può essere audace o avaro).
7. L’incertezza (il gioco comporta una certa incertezza nei suoi sviluppi altrimenti diventa monotono).
8. La finzione (il gioco comporta la finzione dell’abolizione momentanea della realtà, per cui è più disfunzionale al gioco il “guastafeste“, che infrange le regole della finzione, che il “baro“, che infrange le regole della lealtà; Huizinga).

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